martedì 15 gennaio 2013

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L'ingresso del museo
Nel mio estenuante week-end romano sono riuscito (banfata clamorosa, visto che era una delle tappe in programma!!!) a trovare il tempo di visitare il ViGaMus, il primo ed unico (spero di non aver esagerato con gli aggettivi) museo italiano interamente dedicato ai videogame ed alla loro storia. E così, dopo "Il dizionario di Videogiochi" (DVG per gli amici!), anche PC Retro Games varca la soglia di questa tempio del retrogaming. Ma, mentre i "colleghi" (metto le virgolette perché non mi reputo alla loro altezza, e non il viceversa) Mauro Corbetta e Andrea Pastore sono stati accolti in pompa magna, io ho preferito presentarmi mantenendo un basso profilo. E così, proprio come un critico gastronomico che si reca in incognito in un ristorante per valutare le doti delle chef  (non come Gordon Ramsay che manda a cagare direttamente senza tanti preamboli), eccomi a qui a riportarvi le mie impressioni e le mie valutazioni senza ovviamente risparmiare le critiche.
Il ViGaMus si trova nella parte nord di Roma ed è facilmente raggiungibile tramite diverse linee di autobus urbani, l'unico consiglio che vi do è quello di evitare di partire subito dopo i pasti visto che, gli autisti romani guidano come dei pazzi e le strade di sampietrini non facilitano la digestione. Giunto quindi in quel di Via Sabotino 4, davanti ai miei occhi si staglia un palazzo sul cui ingresso troneggia uno striscione su cui si legge l'acronimo ViGaMus (che per chi non l'avesse capito, come testimonia il l'immagine poco sopra, sta per VIdeo GAme MUSeum); a guardia dell'ingresso i "simpatici" alieni di Space Invaders pronti ad attaccare ogni malintenzionato.
Cheese!!!
Una volta scese le scale, il museo si trova al pianto interrato, ci si sente subito a "casa": i suoni semplici di un tempo, dal dolce sapore sintetico, che ci hanno accompagnato per tanti pomeriggi ci sono tutti e sul maxi-schermo all'ingresso scorrono immagini che fanno riaffiorare alla mente teneri ricordi. I due simpatici ragazzi all'ingresso mi accolgono con un sorriso e sono ben disposti a darmi spiegazioni su come l'esposizione sia organizzata, su come sia stato "raccolto" il materiale e sugli eventi in programmazione (compreso lo speciale dedicato a "Ralph Spaccatutto", nuovo film di animazione della Disney che dalla cultura dei videogiochi pesca a piene mani).
Dopo aver corrisposto il prezzo d'ingresso, inizio a seguire il sentiero marcato dall'immortale Pac-Man e dalle sue golosissime palline: davanti ai miei occhi si spalanca buona parte della storia dei videogame.  Ordinatamente esposti in bacheche, poste al centro e ai lati di un lungo stanzone, si trovano i computer e le console che hanno fatto la storia di un'arte ormai quarantennale. Ogni pezzo è accuratamente etichettato, con nome e data di produzione, e le pareti sono "adorne" di interessanti monografie che trattano personaggi, giochi e sistemi che particolarmente si sono distinti in questa lunga evoluzione. Grazie a questo meticoloso lavoro classificazione, mi sono tolto lo sfizio di vedere in prima persona alcuni pezzi che fino all'altro giorno avevo potuto ammirare solo sulle pagine del web: il piccolo e carinissimo ZX81, il fantasmagorico (per i tempi) ColecoVision, l'inutile CD-I della Philips ed il tanto decantato TI-99 della Texas Instruments (si Gekido, lo conoscevo solo grazie al tuo splendido articolo su Re.BIT!!!). E se alcuni pezzi li conoscevo solo di nome, altri li ignoravo completamente: l'APF TV FUN (scopro leggendo su Wikipedia che si tratta di uno dei tanti cloni di PONG), l'UNIVERSUM Color-Multi-Spiel (console multi-gioco basata sempre su PONG), la ZANUSSI Play-o-Tronic (la prima console italiana, ancora basata su PONG) e il Phonola Teleflipper (ancora Italia e ancora varianti di PONG).
Qua e la, fanno bella mostra giochi originali perfettamente conservati che non dimostrano assolutamente i decenni che ormai si portano sul groppone; da buon PCista, non ho potuto evitare di soffermarmi ad ammirare (e fotografare) i due floppy-disk (rigorosamente da 5 1/4) di Doom ricevuti, probabilmente per posta, da colui che ha donato questo pezzo al mueso.
Completata la traversata della lunga "navata" centrale (cercando di governare l'impulso di infrangere una vetrina, arraffare tutto il possibile per poi darmi alla fuga), mi dedico ai locali laterali in cui trovano posto: un paio di stanze con varie postazioni di gioco (compresi alcuni coin-op), un cantuccio in cui provare un postazione di gioco 3D (con tanto di occhialetti) ed un ampia sala conferenze.
Basta! Puzzle Bobble non lo sopporto più!!!

Ed è proprio in quest'ultima sala, in cui sono stati recentemente omaggiati gli amici di DVG, che il mio occhio attento si posa su quello che è ultimamente uno degli oggetti in cima alla mia lista dei desideri: il MameCAB. Mi metto a smanettare su uno dei cabinati, cercando la combinazione di tasti per andare al menù di selezione dei giochi (ponendo fine a Puzzle Bubble che ormai non sopporto più!!!), quand'ecco che vengo avvicinato da Cristiano Bei e dagli altri amici (non li cito per nome perché me li sono scordati, scusate) di IoCero.com. Il primo approccio è di tipo commerciale - "Quando costa?" :o) - ma poi la conversazione si sposta su ben altri temi dando origine ad un conversazione che ai più potrebbe sembrare surreale (un po' sto inventando ma più o meno è andata così):

Cristiano: "Lo conosci il nostro sito?"
Io: "Uhm, effettivamente no pero' provvedo subito. E tu hai lo conosci il mio blog?"
Cristiano: "Uhm, no dammi l'indirizzo"
Io: "Io scrivo su Re.BIT e curo una sezione dedicata alla programmazione assembly per C64"
Cristiano: "Allora caschi a fagiolo, io ho scritto un gioco per Nintendo DS e programmo per ORIC-1"
Io: "Ma dai che figata!! Scambiamoci l'amicizia su Facebook!"
Cristiano: "Alla grande!"

Il dialogo sui massimi sistemi si conclude con strette di mano, foto di gruppo (la trovate nella galleria al fondo del post) ed il dono di una simpatica spilletta che conserverò gelosamente.
La visita si conclude con un partitina a Fix-It Felix Jr., il coin-op a cui si ispira "Ralph Spaccatutto", i saluti di rito ed un arrivederci alla prossima visita :o)

Se a questo punto vi chiedete quali siano le mie impressioni ... bene eccole qua: l'ambiente del ViGaMus è veramente accogliente ed è un un belvedere fin dall'ingresso grazie all'evidente cura posta nella fase di allestimento. Le numerose "opere" in esposizione sono perfette e mostrano solo in minima parte i segni del tempo, che ohimè scorre impietoso. Le monografie sono interessanti e riescono, anche se in poche righe, a trasmettere con chiarezza il tema di cui trattano. Le postazioni interattive, pur se non moltissime, permettono di provare con mano alcune delle macchine più rappresentative del panorama videoludico.
Ma allora son tutte rose e fiori? Beh, non esageriamo alcuni difetti ci sono! Prima di tutto, pur essendo numerose le macchine in mostra, mancano, nella maggior parte dei casi, schede (magari anche tecniche) dei singoli oggetti (lo dimostra il fatto che per recuperare informazioni relative ad alcune console mi sono dovuto avvalere della consulenza di Wikipedia). E tenendo conto che, pur non avendo una conoscenza enciclopedica come quella di Gekido, anche io, che non mi reputo uno sprovveduto, in alcuni casi mi sono trovato spiazzato penso a cosa possa restare ad un giovanotto che vuole avvinarsi a questo mondo innegabilmente affascinante. La spiegazione che mi sono dato di fronte a questa "mancanza" è quella della carenza di spazio: il museo è effettivamente piccolino e per forza di cose gli oggetti in esposizione finiscono con l'essere un po' ammassati uno vicino all'altro. Il mio sogno sarebbe quello di avere a disposizione una postazione di prova per ogni singolo pezzo (vabbè forse sto esagerando ... però sarebbe veramente una manna!).
L'ultimo appunto (piccolo, piccolo) lo faccio al prezzo: otto eurini non sono tanti ma neppure pochi (anche se è vero che per "scalare" il cuppolone bisogno sborsare ben 5€!!) ... speriamo che i fondi servano al ViGaMus per estendere l'area espositiva e contribuire a realizzare il mio desiderio (non il MameCAB ... che cosa avete capito!!!).

Vi saluto lasciandovi un piccola galleria fotografica della mia visita ... alla prossima!!

Doom!!
Varianti di PONG ed il mitico SIMON
Ancora PONG in varie versioni
Ma quanto è carino lo ZX81!!
Sinclair power & TI-99
Handheald mania
Philips CD-I
io e DUE MITI
Foto di gruppo con IoCero.com
Postazioni di gioco varie
La regina è sempre lei!
Postazione gioco da sogno (3D)
Mitico Intellivision
ColecoVision
Pitfall, bello oggi come allora
Shigeru Miyamoto e ho detto tutto!
Felix, fagliela vedere a Ralph!!
Donkey Kong ... grande!!!
Devo aggiungere altro?
Grafica vettoriale per tutti con Vectrex
Tutto Commodore!
Italian do it better
Ancora io e i DUE MITI
Una giovane guidatrice
La fidanzata di tutti i retrogamer!!
Nintendo a go-go

lunedì 6 agosto 2012

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Amici, chissà perché i mesi che precedono le vacanze sono sempre i più incasinati! Per la prima volta da quanto ho aperto questo blog, il mese scorso, mi sono visto costretto, in parte dalla stanchezza in parte per qualche impegno, a non pubblicare neanche un articolo ... disdetta, tremenda disdetta.
Ci voleva l'uscita del settimo numeri di Re.BIT per farmi tornare a pigiare i tasti da queste parti. Come da tradizione anche questo numero esce con il solito, tremendo e pauroso ritardo ma non vogliacetene a male, vi assicuro che ce la mettiamo tutta per dare sempre il massimo e soddisfare la vostra retro-passione :o)
Ma se il ritardo è uno dei marchi di fabbrica del Re.BIT, lo sono altrettanto la ricchezza e la ricchezza di spunti dei suoi articoli. Si parte con un interessantissimo articolo che mette a confronto la "RCA Studio II" e la "Farchild Channel F", due console di metà degli anni '70 con una genesi particolare, e nobile,  che le accomuna. Si prosegue con i tecnicismi grazie ad uno speciale sul chip ULA, la chiave del "miracolo" Sinclair (come annuncia in pompa magna un esaltatissimo LukeZab), e all'ormai immancabile lezione di retro-programming anche questa volta dedicata agli sprite. Dopo questi argomenti seriosi, ecco arrivare le recensioni: si inizia con uno speciale omni-comprensivo di quel capolavoro che è Winter Games (mamma mia quanti ricordi!!!), si passa poi ad Enduro Racer, grandissimo coin-op portato in modo incredibile sul piccolo Spectrum, per continuare ad esaltarsi con il buon Home Alone per Mega Drive. Chiudono la sezione ludica uno speciale sulla Epic MegaGames, altro mostro sacro dello shareware su PC, e l'immortale Holiday Lemmings (il numero era inizialmente previsto per Natale, ma visto che siamo arrivati per le vacanze estive ... beh ... buone holiday a tutti!!!).
Si ritorna a parlare di tecnologia con la seconda puntata dell'evoluzione audio su PC, Ad-Lib e Sound Blaster e un approfondimento sul Texas Instruments TI-99/4A (della nostra new entry Ermanno Betori). Non manca un approfondito reportage sull'evento Brusaporto Retrocomputing 2011 (un po' datato ma comunque interessante), e l'immancabile angolo anime dedicato questa volte ai grandissimi Gatchaman (uno dei cartoni con il finale più triste battuto solo da Starzinger ... scusate lo spoiler ma da bambini rimasi triste per una settimana dopo l'ultima puntata).

Grazie a tutti voi che continuate a leggerci e ad aiutarci a rendere più belle la rivista!!! Ancora grazie e correte sul sito ufficiale per leggere il nuovo numero di Re.BIT :o)


giovedì 14 giugno 2012

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Ogni sistema ha avuto un gioco che ha segnato indelebilmente la sua storia ... non mi sento sufficientemente preparato per esprimermi sulle piattaforme diverse da quelle a cui questo blog è dedicato, lascio spazio per questo a voi che mi leggete nei commenti, ma credo di poter affermare con un certo grado di sicurezza che DOOM è stato, per decenni, indissolubilmente legato all'immaginario dei videogame per PC.
La id Software, fondata da John Romero, John Carmack e Tom Hall, dopo il successo ottenuto con Wolfenstein 3D, decide di lasciare l'ala protettiva della Apogee Software per mettersi in proprio e dar libero sfogo alla propria creatività. Mentre la maggior parte del team è dedita alla sviluppo di Spear of Destiny, versione da scaffale delle avventure di B.J. Blazkowicz, John Carmack è libero di dedicarsi alla sviluppo di un nuovo motore grafico in grado di superare i limiti del precedente. Abbandonata la tecnica del ray-casting, lo sviluppatore decide di abbracciare il metodo della partizione binaria dello spazio (BSP, Binary Space Partition) per arricchire l'esperienza ludica. Arrivano così differenti altezze per le varie zone dei livelli, texture su tutte le superfici (compresi quindi soffitto e pavimento), luminosità variabile all'interno delle stessa stanza, pareti con angoli non retti e ondeggiamento dell'arma durante il movimento del personaggio. Benché alcune di queste possano sembrare innovazioni di poca importanza, permisero di donare al gioco un level-design ricco di ascensori, ponti mobili, strutture in movimento, interruttori per accendere e spegnere le luci, ecc.
Il motore grafico, in versione preliminare, viene concesso in licenza alla Raven Software (sancendo di fatto una collaborazione che durerà a lungo) per la realizzazione di Shadowcaster, un buon action-RPG che sa farne trasparire le potenzialità. Diciamo pure che il buon giorno si vede dal mattino ma, vi assicuro che eravamo ben lungi dai botti che sarebbero giunti di li a poco. Sia ben chiaro, l'engine non è ancora "realmente tridimensionale" ma il risultato finale, almeno nel 1993, era assolutamente eccezionale.

 
Sangue ovunque e corpi impalati ... benvenuti all'inferno!!

Nel gioco vestiremo i panni di un marines spaziale deportato su Marte per aver aggredito un suo superiore che gli ordinava di sparare su dei civili disarmati. Costretto a prestare servizio per la Union Airspace Corporation, il protagonista viene inviato ad indagare su un terribile incidente avvenuto durante un esperimento di teletrasporto tra le due lune marziane Phobos e Deimos. Dai varchi dimensionali aperti dagli scienziati, hanno iniziato a materializzarsi creature spaventose che in breve hanno seminato panico morte nella base di Phobos. Molto peggio vanno le cose per Deimos che letteralmente sparisce nel nulla con tutto il personale residente. Atterrati nei pressi della base di Phobos, mentre la squadra inizia l'esplorazione, veniamo lasciati al di fuori dell'edificio per mantenere i contatti con il comando. Di li a poco i contatti con il il gruppo si interrompono ... entriamo nello stabile e tutto intorno a voi i corpi dilaniati dei vostri compagni! Ora siamo soli ...

Sicuramente non ci troviamo di fronte ad una trama da Oscar, ma c'è tutto quello che serve per incuriosire ed invogliare a giocare. Inoltre la id Software ci aveva già fatto conoscere le sue doti con Wolfenstein 3D e quindi, nel bene e nel male, i giocatori già sapevano cosa aspettarsi ... credo però che nessuno si sarebbe mai immaginato uno spettacolo del genere.
Bastano infatti i primi secondi di gioco per esaltarsi oltre ogni limite: la musica heavy-rock inizia a fluire dalla casse, ed il realismo con cui viene reso il l'ondeggiare del campo durante l'avanzata è assolutamente da urlo. La prima stanza è vuota e servirà per capire come muoversi e raccattare qualche munizione ed un paio di potenziamenti, ma sarà sufficiente spalancare la prima porta per venire assaliti da zombi e altre infernali creature. E man mano che si avanza è tutto un susseguirsi di texture mozzafiato (vabbé ... considerate i venti anni che sono passati), di scale, di ascensori e di passaggi segreti ... credo di poter affermare che, anche girare per i livelli senza dover combattere possa essere fonte di divertimento. Detto questo, il gameplay è rimasto più o meno quello di Wolfenstein 3D anche se, debbo ammettere che l'ambientazione fantascientifica, i nemici demoniaci e le armi decisamente "sborone" (come non citare la motosega o la mitica BFG, Big Fucking Gun) rendono il tutto più divertente!

 
Motosega e Big Fucking Gun, le armi migliori di DOOM

Anche DOOM, come tutti i titoli della id Software, viene rilasciato inizialmente in versione shareware: il primo episodio, Knee-Deep in the Dead, viene infatti distribuito in modo completamente gratuito e giocabile senza limitazioni. Di li a poco sarebbero stati resi disponibili, questa volta a pagamento, i successivi due episodi, Shores of Hell e Inferno, che, oltre a regalare altre ore di sano divertimento, portava il gioco e la trama alla sua naturale conclusione. Il gioco viene distribuito intorno alla mezzanotte del 10 dicembre 1993, tramite il server FTP dell'Università di Wisconsin-Madison; il numero di tentativi di download è tale che dopo pochi minuti il sistema va in crash! Anche se non esistono dati ufficiali, si stima che l'episodio shareware fu scaricato più di un milione e mezzo di volte nei suoi primi cinque mesi di distribuzione... mica male :o)
A fare di DOOM un successo fu, inutile negarlo, in buona parte la massiccia dose di violenza che lo caratterizzava ... come sempre succede fioccarono polemiche a non finire ed il gioco in Brasile fu addirittura dichiarato fuori legge e ritirato dai negozi. Per quando mi riguarda si trattò di una assurda esagerazione che come sempre accade, invece di affossare il gioco lo fece diventare ancora più famoso ... e poi diciamocelo non è che uno può diventare un'omicida psicopatico solo per aver giocato ad un videogioco ... quanto perbenismo!!!!
In realtà, a creare malessere nelle lunghe sessioni di gioco non era tanto l'infierire con ogni mezzo sui nemici (e poi che rimorsi può creare sparare con la doppietta ad una Cacodemon? la palla rossa con i dentoni ed un unico occhio) ma quello che fu dopo poco battezzato "mal di DOOM". Dovete infatti sapere che, quando ancora non si erano diffusi gli anticorpi opportuni,partite prolungate potevano causare nausea e leggeri giramenti di testa, una sorta di mal di mare dovuto all'ondeggiamento dello schermo di gioco durante l'avanzata. Probabilmente, rispetto a titoli che sarebbero arrivati, tale animazione era un po' "esasperata" ma vi assicuro che era proprio così e anche io alcune volte ne rimasi vittima (la sensazione è più o meno quella che si prova a bordo di un barca ferma sul mare leggermente mosso ... non è come essere nel mezzo di una burrasca ma un fastidio un po' lo da).

 
Un "idilliaco" scorcio di Phobos - L'architettura dei livelli è assolutamente eccezionale

Tornando a parlare più dettagliatamente del gioco, non posso esimermi dal citare: le splendide colonne sonore create dal grande Bobby Prince (ispirate ai grandi della musica heavy-metal come Metallica e Slayer), l'ottimo level-design frutto della fantasia dello stesso John Romero e degli altri mezzi del team, la grafica succulenta basata su modelli reali sia per le texture che per buona parte degli oggetti (le mani del protagonista sono del grafico Kevin Cloud, la motosega è una Eager Beaver della McCulloch, il fucile e la pistola sono invece due armi giocattolo, e così via).
Anche il reparto degli effetti sonori (fatto di grugniti, botti, urla e spari di varia fattura) è molto ben curato ... e se giocando avrete le sensazione di aver già sentito quel particolare campione, beh sappiate che non vi state sbagliando in quanto, tutti gli effetti sono tratti dalla libreria royalty-free, Sound Ideas General.
Il sistema di controllo riprende pari pari quello di Wolfenstein 3D che già era ottimo: rimane quindi la possibilità di controllare il marine solo con la tastiera o con quest'ultima in combinazione con il mouse. Non essendo necessario prendere la mira con precisione (basta posizionare la bocca di fuoco nella direzione del nemico per colpirlo) ce la si fa a giocare solo con la fida tastiera ma, iniziare a prendere confidenza con il sorcio per approcciare gli FPS non è idea malsana. Chiudo questa carrellata con i cinque livelli di difficoltà, da I'm too young to die a Nightmare! (e mi pare che i nomi dicano tutto), e con gli obiettivi che dovrete centrare per raggiungere il massimo della valutazione: uccidere tutti i nemici, raccogliere tutti gli oggetti e scoprire tutte le locazioni segrete presenti nel livello (per essere completi vi segnalo che ogni episodio è composto da otto livelli più uno bonus raggiungibile da un ingresso nascosto).

Un altro trittico di "argomenti" che contribuirono al successo di DOOM furono l'automapping, il multiplayer e la modificabilità pressoché totale del gioco.

Chi come me ha amato gli RPG alla Dungeon Master, ha passato intere nottate a imbrattare fogli di carta (mai abbastanza grandi) per tracciare le mappe dei dungeon ... bene, muoversi tra gli enormi livelli per completare al massimo ogni obiettivo, sarebbe assolutamente improbo senza il comodo servizio di automapping che Romero e soci ebbero la bontà di  inserire nel gioco.

 
Con livelli così complessi, l'automapping è veramente gradito (in rosso le aree già esplorate) - Al termine di ogni missione verrà visualizzata la mappa dell'episodio e i grado di completamento dei diversi obiettivi (notate il tempo di par per il primo livello ... 30 secondi!!)

 DOOM fu uno dei primi titoli a offrire una modalità multiplayer. In rete locale su Ethernet IPX era possibile creare partite con fino a quattro giocatore mentre, in collegamento diretto tramite modem o con cavo null-modem su porta seriale era possibile giocare in due. Due le modalità di gioco previste: cooperativa in cui i giocatori collaboravano per concludere il livello, e deathmatch (termine ormai di uso comune che viene coniato con l'avvento di DOOM) dove i giocatori si scontrano tra loro. Per facilitare la creazione di partite multigiocatore, venne addirittura creato un servizio, DWANGO (Doom Wide-Area Network Gamer Organization!), che permetteva agli appassionati, al modico prezzo di una telefonata in Texas, di mettersi in contatto e organizzare sfide all'ultima capsula di plasma!

A completare l'elenco delle chicche, abbiamo la totale apertura del titolo verso modifiche ed estensioni. Se già ai tempi di Wolfenstein 3D la id Software si era ingegnata, affinché gli appassionati oltre che a giocare potessero collaborare a rendere il gioco più bello, con il nuovo titolo, soprattutto per volontà di Romero fautore dell'open-source, si erano impegnati al massimo per rendere questo aspetto, allora considerato marginale, altrettanto appetibile quanto il gioco stesso. E così a breve dall'uscita del titolo iniziano a diffondersi utility che permettevano di cambiare le texture o alterare le caratteristiche di mostri ed armi. Con il passare dei tempo arrivano poi dei veri e propri editor che permettono di realizzare livelli aggiuntivi (i famosi WAD dall'estensione omonima dei file) e vere e proprie total-conversion ... tra le più famose, Doom Alien TC, ambientato nell'universo del primo AlienBatman Doom e Marine Doom sviluppato nientepopodimeno che dal corpo dei marines degli Stati Uniti per l'addestramento delle truppe.

 
Due immagine tratte da Doom Alien TC

Bene, credo proprio che sia arrivato il momento di chiudere, ho scritto veramente molto e abusato a sufficienza della vostra pazienza. Concludo ringraziando ancora una volta la id Software per averci regalato questo videogioco entrato ormai nella storia ... "clone di DOOM" è stato per anni  il termine utilizzato per indicare gli FPS, parole come deathmatch e total-conversion sono state coniate grazie a questo titolo, da DOOM in avanti il multiplayer diviene un aspetto importante del videogiocare ... se questo vi sembra poco fateci una partita, rapisce oggi come allora (potete scaricare il primo episodio di DOOM al seguente indirizzo).

A voi il filmato ...


martedì 5 giugno 2012

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I primi anni '80, dal punto di vista video-ludico, furono una vera e propria Babele. C'erano tali e tanti sistemi da gioco che, sia per i giocatori che per gli sviluppatori, era difficile decidere su quale investire: le console (2600 e 5200) e gli home-computer (400 e 800) di Atari, il piccolo Commodore VIC-20, il TI-99/4A delle Texas Instruments, l'Apple II, il Colecovision, il BBC Micro (commercializzato dall'omonimo broadcaster inglese), il TRS-80 di Radio Shank (famosa catena americana di elettronica di consumo), l'Aquarius e l'Intellivision della Mattel, lo ZX Spectrum, sua maestà il Commodore 64 ed il PC che, proprio in questo marasma, iniziò a muovere i suoi primi passi. L'avvento dei sistemi a 16-bit, portò un po' d'ordine ... tre home-computer (Amiga, Atari ST e PC) e due console (Megadrive e Super Nintendo) ... ma è innegabile che la prima metà degli anni '80 fu un vera e proprio fucina di idee e di sperimentazione (sia per quando riguarda l'hardware che il software).

In quegli anni di fermento, Bill Hogue (qui a fianco in una foto di gioventù) e Jeff Konyu decidono di sfruttare la loro conoscenza del TRS-80 per realizzare videogame. Nascono così la Big Five Software e alcuni dei suoi primi titoli: Super Nova, Attack Force, Defence Command ... si trattava, come spesso accadeva in quel periodo, di cloni, più o meno spudorati, di giochi da sala come Asteroids, Missile Commando, ecc. Le cose vanno decisamente bene ai due giovanotti ma, credo che nessuno di loro si sarebbe mai immaginato quello che di li a poco li avrebbe letteralmente travolti: Bounty Bob stava per arrivare. Programmato inizialmente per Atari 800, per poi approdare su vari sistemi, Miner 2049er narra di Bounty Bob, membro della Royal Canadian Mounted Police (la polizia a cavallo ... anche se di cavalli nel gioco non se ne vedono), e della sua missione esplorativa nelle miniere di uranio dello Yukon. I giacimenti sono completamente infestati da creature mutate a causa delle radiazioni, e debbono essere bonificati per riprendere l'estrazione del prezioso minerale. Bob dovrà quindi inabissarsi nel sottosuolo (per ben dieci livelli), in un misto di esplorazione, raccolta di oggetti e disinfestazione!

 
Il primo livello scorre via senza troppi traumi ma già il secondo, con i suoi "simpatici" scivoli vi darà del filo da torcere

Miner 2049er  riprende lo schema di gioco proposto da Donkey Kong estendendolo sia nel numero di livelli che nel gameplay. Come ho già detto i quadri sono ben dieci, numero che fa sicuramente la sua bella figura rispetto ai quattro, spesso e volentieri ridotti a tre nelle conversioni domestiche, del titolo Nintendo. Il gameplay risulta molto più ricco, grazie all'introduzione di trabocchetti, ascensori, teletrasporti, piattaforme mobili, scivoli e molto altro. Anche il meccanismo che vi permette di superare il livello, ossia calpestarlo completamente, aggiunge una maggiore strategia visto che per riuscirvi al meglio, sarà necessario raccogliere tutti i tesori, eliminare tutti i nemici e fare tutto ciò nel minor tempo possibile.

 
Il terzo livello e suoi ascensori (pigiare il numero del piano per essere "trasportati") ed il quinto con le sue piccole piattaforme che vi costringeranno a balzi di precisione (cadere da troppo in alto è deleterio!!)

Il successo fu incredibile e portò nella tasche dei due giovanotti un montagna di dollaroni, tanto da farne i primi giovani milionari nella storia dei videogiochi. A contribuire al successo, e all'arricchimento, della Big Five Software, fu anche l'innovativa politica di licensing adottata per le svariate conversioni; l'originale Bounty Bob venne infatti ceduto in licenza a diverse software house che si occuparono del porting, corrispondendo un'adeguata royalties ai due ideatori. Questa idea permise al titolo, sia di arrivare praticamente su ogni piattaforma ludica, sia di dare, spesso e volentieri, il meglio in ogni sua incarnazione visto che, chi si occupava della conversione, sapeva ben sfruttare la macchina di destinazione.

L'articolo del National Enquirer che tesse le lodi della Big Five Software (clicca per ingrandire)

La versione PC viene curata dalla Micro Fun che riesce a riproporre, con ottimi risultati, l'irresistibile divertimento del titolo originale. Come avrete notato dagli screen-shot, la grafica CGA è al solito alquanto psichedelica (soprattutto i livelli in cui è il magenta a farla da patrone) ma, se vi fate un giro per la rete, vi renderete conto che, anche sui sistemi concorrenti, non è che le cose sia tutte rose e fiori... la versione Colecovision è probabilmente la più colorata, ma è comunque cubettosa e grossolana. Ma in quegli anni non si badava più di tanto alla grafica, bastavano tre o quattro pixel disposti con maestria a farci immaginare un cavaliere senza paura o uno spaventoso drago. Lo stesso discorso si può estendere anche al sonoro fatto dei soliti "gorgheggi" magistralmente sintetizzati dal mai abbastanza amato pc-speaker (sono stato sufficientemente ironico?!?!) ... in ogni caso, "O mia cara Clementina", nella schermata dei titoli, sa strappare un sincero sorriso :o)

Insomma, Miner 2049er è il classico gioco degli anni '80 ... pochi fronzoli e tanta, tanta giocabilità!! E non è un caso che la versione per gli ormai onnipresenti iDevice, si sia guadagnata diversi riconoscimenti alla sua uscita nel 2007.

Prima di lasciarvi ad un breve filmato mi congedo con due curiosità:
  • per far saltare il personaggio dovete utilizzare il tasto ESC (ma come gli sarà venuto in mente!!)
  • il titolo del gioco, gioca, (scusate il bisticcio) sul soprannome affibbiato ai cercatori d'oro della California di metà 1800: i Miner 49er
Alla prossima ...


giovedì 17 maggio 2012

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Lester Knight Chaykin è un giovane ed ambizioso ricercatore, dedito allo studio della fisica delle particelle. In una sera nuvolosa di mezz'estate, con un temporale che rischiara con i suoi fulmini il cielo all'orizzonte, Lester si reca presso il suo laboratorio per portare a termine un importante esperimento. Dopo una breve simulazione, l'acceleratore di particelle è pronto ad essere azionato per spezzare la materia e svelarne i segreti più reconditi. Tutto sembrava andare per il meglio, quand'ecco che il destino stende la sua lunga mano ... un fulmine colpisce la struttura, una scarica elettrica di immane potenza si incanala lungo l'acceleratore colpendo in pieno la postazione, da cui il giovane Lester sta operando. Lo scontro di energie ad alto potenziale, da origine ad uno spostamento dimensionale che scaglia il giovane, e tutta la sua postazione di lavoro, letteralmente in un altro mondo ... Another World, come direbbero gli anglofoni :o)
Che la fortuna non sia dalla parte del giovane scienziato, lo si intuisce fin dalla prima sezione di gioco ... Lester riappare, con tanto di di super-computer, all'interno di un enorme vasca d'acqua in cui lentamente sta sprofondando. Dovrete essere lesti a risalire, per non finire tra i tentacoli del misterioso essere che dimora in fondo al vascone. Usciti dall'acqua, vi renderete ben presto conto di esservi materializzati in una realtà ostile dove tutto sembra studiato per uccidere. Come spesso accade nel mondo dei videogiochi, il protagonista si vedrà costretto, suo malgrado, a combattere per la libertà.

 
Un paio di fotogrammi tratti dalla fantastica introduzione: Lester giunge, ignaro del suo destino, al laboratorio per piazzarsi di fronte al suo computer e dare l'inizio all'esperimento che, di li a poco, l'avrebbe catapultato in un altro mondo

Il gioco inizia con una lunga introduzione, assolutamente fuori parametro per qui tempi e tutt'oggi decisamente piacevole. La regia è magistrale ... il giovane scienziato giunge al laboratorio a bordo della sua Ferrari 288 GTO e, dopo aver superato i sistemi di sicurezza, si accomoda alla sua postazione di lavoro per dare il via all'esperimento ... le inquadrature sono un susseguirsi di primi piani del protagonista e di dettagli sulle fantasmagoriche apparecchiature. Lester dal via all'esperimento, apre una lattina di coca e quel punto l'inquadratura passa all'esterno dell'edificio. Seguono lunghi secondi di quiete apparente, quand'ecco che con un rombo che vi farà letteralmente saltare sulla sedia (almeno la prima volta!!) un fulmine squarcia il cielo, riversando tutta la sua elettrica potenza nel tunnel dell'acceleratore ... un altro paio di secondi e un'esplosione consegnerà il giovane scienziato al suo destino. Mi scuso per la pomposità con cui vi ho narrato l'introduzione del gioco, ma vi assicuro che è esattamente questa la sensazione di grandezza, che proverete posti di fronte ad una tale opera d'arte. La grafica è assolutamente sensazionale, fatta di modelli poligonali che si muovono su sfondi disegnati a mano ... la stessa tecnica già adottata dalla Delphine Software in Cruise for a corpse, che qui arriva ai suoi massimi livelli. E se questo mix fa letteralmente paura nell'introduzione, da il meglio durante il gioco in cui, pur essendo il livello di dettaglio minore per ovvi motivi computazionali, sa regalarci animazioni stratosferiche degne di Prince of Persia (anche in questo gioco si fa abbondante uso della tecnica del rotoscoping). A dire il vero, le animazioni del personaggio mentre nuota o sale le scale sono abbastanza "legnose" ma, vi ricordo che tutt'oggi sono i moventi più difficili da rendere in modo realistico!!

 
Appena giunti sul nuovo mondo, si avrà la sensazione di essere giunti su di un piccolo paradiso ... sensazione che durerà poco visto l'incontro con un "simpatico" predatore autoctono

Detto ciò, è giunto il momento di parlare un po' del gioco vero e proprio ... Another World è sostanzialmente un platform anche se non mancano frequenti innesti di tipo adventure, con enigmi e puzzle da risolvere per poter proseguire. Lester corre, salta, si abbassa e combatte (prima a pedate, poi con un fantascientifica pistola in grado di disintegrare persino le pareti) ricordando, in diversi frangenti, le gesta del famoso principe di Persia. L'azione di gioco incalzante, costringe il giocatore a stare sempre sul chi va là, onde evitare di essere travolto dagli eventi. Anche le sezioni più meditative, non concedono troppo tempo alla riflessione costringendoci più e più volte a ripetere la stessa sezione. Fortunatamente, il gioco vi mette a disposizione un numero di vite illimitato, check-point per posizionati ed un sistema di password per non ricominciare ogni volta da capo ma, la sindrome del try-and-die (prova e muori ... avete presente Rick Dangerous!!!) si impossesserà ben presto di voi.
Sono proprio questi due opposti i maggiori difetti del gioco. Da un lato abbiamo una buona dose di difficoltà (che un alcuni casi vi farà piombare nella più cupa frustrazione), dall'altro abbiamo diversi "aiutini" che cercano di facilitarvi il compito. Il risultato finale è che pure imbufalendosi, alla fine, con un po' di determinazione (e un po' di pazienza visto che all'inizio vi verrà spesso voglia di sfasciare la tastiera), si riesce ad andare avanti completando il gioco un po' troppo velocemente.

Oltre alla spiccata propensione alla spettacolarizzazione, fatta di cut-scene di ottima fattura, Another World sa mettere in evidenza un aspetto di natura molto più sentimentale: l'amicizia. Lester si trova catapultato in un mondo alieno ed inospitale ma, nonostante questo, riesce a trovare in una locale, che condivide con lui la prigionia, un amico che lo aiuterà ad affrontare le situazioni più spinose. Un "omone" dal goffo aspetto, con cui Lester comunica a stento, che diventerà, con lo scorrere dell'avventura, un compagno fidato ... sarà infatti lui ad involarsi con il protagonista verso l'orizzonte della libertà (non dico altro sul finale per non togliervi il piacere di arrivare in fondo a questa incredibile esperienza).


 
Un volta colpiti i nemici si sbriciolano letteralmente (fantastico l'effetto sonoro che accompagna l'esplosione) - Uhm ... come fare ad attraversare il ponte interrotto?

Tecnicamente il gioco è assolutamente impressionante ... per la grafica parlano le immagini che ho pubblicato, per il sonoro ... beh ... sappiate che è assolutamente fantastico, nonostante quella che ho definito la sindrome della Disney Sound Source (vedi il post precedente). L'audio è completamente digitalizzato e, nonostante i campioni non siano propriamente cristallini, svolge alla grande la sua funzione, soprattutto grazie agli effetti che spaccano letteralmente le casse. Sulla longevità mi sono già espresso nel paragrafo precedente ... sintetizzando ... il gioco è decisamente difficile ma, con le diverse "agevolazioni", si finisce abbastanza in fretta!

Concludendo, mi sento di affermare che Another World è sicuramente un ottimo gioco, ricco di atmosfera e di pathos. Visivamente è ancora molto gradevole (esiste comunque un'edizione, commemorativa per 15mo anniversario, completamente in HD), e sa regalare, se preso con un po' di pazienza, del sano divertimento. Ai palati troppo fini (ai più giovani), potrebbe non piacere per via del try-and-die spinto e per il livello di difficoltà non proprio alla portata di tutti. Ma, se vi piacciono le sfide impegnative ...

La versione Amiga

Prima di lasciarvi al filmato, spendo volentieri due parole sulla versione per il 16-bit di casa Commodore.

Eric Chahi (già noto per il suo Future Wars, di cui qui a fianco trovate un'immagine recente ... diamo una faccia a questi eroi!!!), sviluppa Another World sul suo fido Amiga 500 equipaggiato con 1MB di RAM, hard-disk da 20MB e Genlock per l'acquisizione video. I software utilizzati per la realizzazione il Deluxe Paint per la grafica bitmap, il Devpak Assembler per la programmazione dell'engine e GFA-Basic per definire lo scripting di alto livello. Ai tempi, vista l'abbondanza di piattaforme da supportare, questo approccio, basato su di un linguaggio di scripting di alto livello, indipendente dalla piattaforma, che si poggiava su di un strato nativo per il sistema in oggetto, era sicuramente il più redditizio ... ne sono un esempio lo SCUMM della LucasFilm o l'AGI della Sierra On-Line.

Ebbene, nonostante i "pochi" mezzi a disposizione, Eric riuscì a mettere insieme un programma che, almeno dal punto di vista tecnico, era assolutamente eccezionale.

La prima versione a venire alla luce è ovviamente quella per il sistema nativo, a cui seguono a ruota le versioni per Atari ST e PC/MS-DOS. L'Amiga, come spesso accadeva, da il meglio di se dal punto di vista del sonoro che risulta di primissima qualità. La grafica è anch'essa ottima, anche se nei frangenti troppo concitati si nota qualche rallentamento. Di questa prima incarnazione, fece storcere un po' il naso l'eccessiva brevità tanto che, nelle versioni successive (tra cui quella PC), furono introdotte diverse scene aggiuntive.

In ogni caso, comunque la si pensi, Another World è un'altra delle perle che l'Amiga seppe donare al mondo dei videogame.