martedì 29 novembre 2011

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Hans Ruedi Giger è un pittore e scultore svizzero noto ai più per la creazione, in collaborazione anche con il nostro Carlo Rambaldi, della creatura xenomorfa protagonista del film Alien (opera che gli valse, nel 1980, l'Oscar per i migliori effetti speciali). Un simile talento visionario non poteva ovviamente restare indifferente al fenomeno dei videogame che, all'inizio degli anni '90, si stavano affermando come vera e propria forma d'arte. A fornire al maestro la possibilità di esprimersi nel tumultuoso universo videoludico ci pensa la Cyberdreams, piccolo publisher californiano che, nella sua seppur breve vita, seppe confezionare giochi di tutto rispetto. Il loro primo titolo è appunto Dark Seed sviluppato e pubblicato per PC/MS-DOS ormai cinque lustri or sono. Il gioco pesca a piene mani dal repertorio di H. R. Giger regalandoci un mondo fatto di spaventose creature e delle ambientazioni tecno-organiche tanto care all'artista svizzero (avete presente la base terrestre su LV-246 "riarredata" dagli aciduli Aliens?).

Dark Seed narra le vicende di Mike Dawson (versione digitale di uno degli sceneggiatori) un giovane e promettente scrittore di fantascienza che, per ritrovare l'ispirazione, decide di comprarsi una deliziosa villetta in stile vittoriano nella ridente e tranquilla cittadina di Woodland Hills (California). Il gioco inizia che il protagonista preda di un terribile incubo in cui si vede impiantare nel cranio embrione alieno (e se il buon giorno si vede dal mattino .... stiamo messi bene!!). Svegliatosi in un bagno di sudore con un forte mal di testa, Mike, dopo una corroborante doccia, inizia ad esplorare la magione ed i suoi dintorni per capire se la sua esperienza onirica non fosse in qualche modo collegata alla realtà. Il persistente mal di testa, le continue allucinazioni e il ritrovamento nella villa di un misterioso specchio, in grado di mettere in contatto il nostro mondo con una dimensione oscura, fanno concludere al nostro eroe che forse sotto c'è qualcosa in più di un semplice sogno. Mike si troverà quindi suo malgrado costretto a salvare la dimensione oscura da un'antica razza aliena che, attraverso la larva iniettata nel suo cranio, si prepara a conquistare anche il nostro mondo. Ad aiutare l'improvvisato salvatore dei due mondi ci penserà la "custode della pergamena", misteriosa creatura dalla fattezze femminili che, dal regno oscuro, apparirà di tanto in tanto per guidarlo nella sua missione.

 
L'avventura non inizia bene e potrebbe finir ancor peggio

Dark Seed si presenta come una classica avventura punta-e-clicca in cui, con l'aiuto del fido mouse (se siete masochisti è possibile affidarsi anche a  joystick o tastiera), muoveremo il protagonista attraverso le diverse ambientazioni che compongono il gioco (sono ben 75 per sfruttare al massimo i disegni forniti Giger) per raccattare indizi, oggetti e risolvere enigmi di complessità variabile. A prima vista un'avventura classica che cerca di scostarsi dalla massa, in quegli anni gli adventure uscivano come funghi, grazie alla trama adulta ed al suo fondamento narrativo per i tempi innovativo. Dopo tante avventure in cui erano l'umorismo, i vari capolavori LucasFilm/LucasArts, o i buoni sentimenti smielati all'eccesso, il ciclo di King Quest, ecco arrivare un titolo che affronta temi da grandi degnamente supportati da una grafica cruda e d'effetto (da questo punto di vista la digitalizzazione da una bella mano). Stesso discorso per la trama che pescando a piene mani dalla letteratura horrorifica sa fornire un'esperienza degna di un romanzo di Lovecraft ... universi paralleli, dimensioni alternative, misteriose ed antiche razza aliene sono alla base dell'opera dello scrittore americano. Dark Seed, insieme ad Alone in the Dark uscito guarda caso lo stesso anno, aprono la via dei survival horror, genere che di li a poco si sarebbe rivelato uno dei più sfruttati (ed inflazionati).

 
La "bella" musa che vi accompagnerà nel viaggio ed un simpatico alieno del mondo oscuro

Graficamente il titolo fa bella mostra degli artwork forniti dal disegnatore svizzero anche grazie all'utilizzo dell'alta risoluzione (640x480x16) che,  nonostante il calo cromatico, dona un'ottima definizione che rende giustizia ai disegno originali. La palette, limitata a soli sedici colori, è ottimamente sfruttata e sa ben rendere il contrasto tra la nostra dimensione, solare e vivace, ed il mondo oscuro, grigio ed opprimente. Purtroppo, come mostrano le immagini, la sezione in basso dello schermo è occupato dalla finestra di dialogo mentre buona parte della porzione superiore è occupata di una vistosa cornice ... se la prima è necessaria per ricevere informazioni dal gioco, la seconda è totalmente inutile ed ha il grande demerito di rubare spazio all'ottima grafica. Buono anche il sonoro con ottimi motivi e effetti sonori campionati azzeccati, compresi alcuni spezzoni di parlato ... slurp ... la Sound Blaster rulla di brutto.

A questo punto vi starete chiedendo se Dark Seed è l'avventura perfetta. Purtroppo no, anzi è affetta da alcuni difetti che ne minano in parte la bontà. Prima di tutto l'animazione del personaggio lenta e legnosa ... passi per la non fluidità dei movimenti ma la lentezza con cui si muove il protagonista sullo schermo, diventa irritante in un gioco in cui sono necessari lunghi viaggi tra una dimensione e l'altra per completare l'avventura (meno male che con il DosBox è possibile dare un'accelerata!!!). Anche gli enigmi di per se non sono il massimo visto che nella maggior parte dei casi si tratta di utilizzare l'oggetto giusto al posto giusto senza doversi spremere più di tanto ... la vera difficoltà sta piuttosto nel recuperare un oggetto affogato tra i pixel dello scenario ... insomma il pixel hunting la fa da padrone.

 
La villa di Mike mi ricorda un po' l'oscuro maniero di Derceto - Giocando ci si aspetta di veder spuntare Ripley da dietro un angolo per far strage di alieni

Inoltre, il gioco si articola lungo tre giornate (se non ce la si fa a finire il gioco in tempo l'uovo nel nostro cranio si schiude con le drammatiche conseguenze che si possono immaginare) il che impone un limite di tempo in cui le varie azioni debbono essere compiute. Questo genera un'estrema linearità, ogni cosa deve essere fatta al momento giusto, e soprattutto un bel po' si salva e ricarica perché è sufficiente sgarrare qualcosa per essere costretti a ricominciare. Ad esempio, fattasi una certa ora Mike si addormenta (narcolessia?): se ci si trova fuori casa ci perdono tutti gli oggetti e ci si ritrova in prigione, se ci si trova nel mondo oscuro su muore e se ci si trova a casa ... beh ... si dorme ma la partita è compromessa. Insomma, un altro stratagemma per aumentare artificiosamente la durata del titolo senza dare nulla al gioco in quanto tale.

Concludendo, prima di passare al video in cui vi guido lungo la prima giornata fino all'accesso al mondo oscuro, mi sento di affermare che Dark Seed è un adventure discreto che non mancherà di eccitare la fantasia di molti giocatori amanti di questo genere. La trama adulta e l'apporto grafico di un grande artista sono sicuramente un fattore di interesse. Sfortunatamente, gli sceneggiatori della Cyberdreams ai tempi non lessero il saggio "Why adventure games suck" del grande Ron Gilbert compiendo tutta una serie di errori che minano il valore complessivo del titolo. Comunque da giocare armati di una buona dose di pazienza.

A presto ...


domenica 27 novembre 2011

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Con viva e vibrante soddisfazione la redazione di Re.BIT annuncia l'uscita del sesto numero della ormai mitica fanzine dedicata al retrogaming e al retrocomputing. I più attenti di voi avranno notato che sono passati sei mesi dall'uscita dall'ultimo numero ma, cercate di capirci, anche se appassionati ognuno di noi redattori ha una sua vita fatta di affetti e di lavoro che tendono, nostro malgrado, a sottrarre tempo a questa nostra battaglia in favore dei bei tempi andati.
In ogni caso, se avrete la pazienza di accedere e registrarvi sul sito di Re.BIT, vi troverete tra le mani un vero e proprio inno alla nostro comune campo interesse, redatto con cura, competenza e soprattutto passione.
Il numero si apre con un fantastico speciale dedicato allo ZX80 e ZX81, i due primi home-computer partoriti dalla geniale mente di Lord Clive Sinclair; piccoli gioielli di tecnologia che si meritano di diritto un posto nella storia dell'informatica. Lasciandosi trasportare dalle parole colme di ammirazione del nostro Gekido è bello apprendere che, nonostante i limiti intrinseci, questa piattaforma (acquistabile in kit di montaggio!!!), già nei primi anni '80, seppe portare nelle nostre case la voglia di programmare e di giocare.
Il numero prosegue con l'ormai tradizionale lezione di assembly per il C64 ed i miei personali deliri sull'evoluzione dell'audio su PC (di cui nessuno parlo ma che è comunque un aspetto fondamentale del mondo che tutti noi apprezziamo). Chiusa la parentesi tecnica arrivano le recensioni: l'immortale Rodland, analizzato nella versione da sala e in tutte le innumerevoli conversioni, l'ottimo Ghost Buster di David Crane (il papà di Pitfall), Konami Tennis per MSX, il primo capitolo della trilogia di Lotus per Amstrad CPC, Silpheed (dal giappone con furore) per PC/MS-DOS e Soft Porn Adventure il primo gioco a portare tematiche adulte in un videogame (da collezione la copertina con la signora Sierra On-Line, Robert Williams, semi-nuda in una jakuzzi ... slurp). Dai videogiochi agli anime il passo è breve e quindi ecco arrivare l'articolo del grande Giaffy dedicato al grande Star Blazer  (Battle Ship Yamato) del immenso Akira Matsumoto (Capitan Halock, Galaxy 999, Starzinger, ecc) ... personalmente uno dei miei cartoni preferiti ... ancora mi ricordo quando pischello mi esaltavo ascoltando la mitica sigla della versione inglese (tralasciamo la sigla italiana .. per favore!!!).
Il numero si chiude con l'intervista al "boss" di Relevo Games, Jon Cortazar, vero eroe e mito di Gekido e Lukezab, e con un piccolo speciale dedicato al "Watara Supervision" la console portatile più inutile della storia ... ok ... forse sono stato un po' cattivo visto che un mio amico la possedeva e ci si giocava con piacere.

Bene, credo di avervi detto tutto e soprattutto di aver stimolato la vostra libido videoludica ... che aspettate ... correte a leggere il nuovo numeri di Re.BIT!!!


domenica 20 novembre 2011

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La prima volta che giocai a questo gioco non avevo la più pallida idea di chi fosse John Romero. Lo "conobbi" alcuni anni dopo grazie alla saga di Commander Keen, Wolfenstein 3D ed il mitico Doom, titolo che consacrà lui, John Carmack e la id Software tra i grandi della storia dei videogame.
John Romero nasce il 28 Ottobre 1967 a Colorado Springs nel rettangolare ed arido stato del Colorado. Inizia a programmare fin da giovanissimo sull'Apple II di famiglia arrivando a pubblicare il suo primo gioco, Scout Search, nel 1984 allegato alla rivista inCider magazine. In quegli anni, John, si appoggia alla Capitol Ideas Software per farsi le ossa e far "girare" i suoi titoli grazie alle riviste con dischetto allegato. Nel 1987 entra alla Origin Systems ma si tratta di una breve collaborazione che lo traghetta verso la nascita della sua prima società: la Inside Out Software dedica al porting di titoli da Commodore 64 ad Apple II e viceversa.
Nel 1989 John si trasferisce in Louisiana entrando alla Softdisk dove conosce John Carmack e Tom Hall con cui, nel Febbraio del 1991, fonderà la id Software. La collaborazione tra Romero e la id durerà fino al 1996 regalando agli amanti dei videogame vere e proprie pietre miliari di questa forma di intrattenimento. Impossibile non conoscere, oltre ai titoli già citati, capolavori come Quake, Hexen, Heretic. Dopo la sua dipartita dalla id Software, John, fonda la Ion Storm la cui unica creazione, Daikatana (1997), è ricordato come un dei peggiori titoli dall'anno. Da allora la figura di John Romero risulta un po' appannata, un po' ai margini dell'intrattenimento digitale, a mio avviso, per via di un mondo ormai poco adatto ai talenti solitari ed all'estro della genialità (basti notare quanti mostri sacri degli anni '90 sono ancora sulla cresta dell'onda).

Accidenti, volevo scrivere due righe introduttive e invece vedi un po' che pappardella ... vabbè forse è meglio che inizi a parlarvi di Pyramids of Egypt :o)

 
L'originale Pyramids of Egypt per Apple II

Il titolo, sviluppato nel 1985 su Apple II (per essere pubblicato solo nel 1987) e approdato su PC un paio di anni dopo, narra le vicende di "Mike the Explorer" e del suo immenso amore per i tesori custoditi nelle profondità delle piramidi egizie. Come Vojager (Kazzenger??!?!?) insegna, gli antichi monumenti funerari sono colmi, oltre che di preziosi, di trappole ideate con l'unico scopo di porre fine all'esistenza dei saccheggiatori. Tra le insidie più pericolose le cronache citano una misteriosa razza di serpenti velenosi appositamente allevati dai sacerdoti del faraone per uccidere i malcapitati tra atroci sofferenze. Possono bastare qualche centinaio di rettili striscianti fermare a l'intrepido Mike? Ovviamente no, poiché il novello Indiana Jones ha imparato a scacciarli appiccando piccoli falò con bombolette di gas monouso ... un vero colpo di genio.
Quella che vi ho testé raccontato è la storia, se vogliamo banale, che introduce una viaggio lungo ben 100 livelli alla ricerca di inenarrabili tesori, tra trappole, serpenti e labirinti intricati ... insomma, probabilmente non ci sarà mai la base per film ma c'è quanto basta per invogliare un videogiocatore che si rispetti a farci una partitina.

Pyramids of Egypt, nel 1989, alla sua uscita su PC porta con se già un poco di retrogame visto che propone lo schema di gioco tipico della metà degli anni '80 fatto di labirinti a schermata fissa, tesori da collezionare, nemici da evitare ed una porta verso il livello successivo (detto così sembra Pac-Man ed in fondo non è che cambi molto). Un modello di gioco datato non è però sintomo di noia, anzi se be sfruttato sa regalare quella giocabilità ed immediatezza che soprattutto oggi si sta perdendo in un orgia di colori e poligoni (sto diventando messianico??).

 
I primi due livelli si completano abbastanza facilmente ma proseguendo ...

Vabbuò ... comunque la si pesi, il titolo del giovane Romero si dimostra ancora oggi estremamente giocabile divertente e, come i buon giochi di un tempo, dannatamente difficile. Scordatevi quei giochi che vi accompagnano lentamente verso la fine, qui c'è veramente da sudare le proverbiali sette camice. Ad essere sincere, forse il gioco è fin troppo difficile rischiando di diventare frustrante in più occasioni, soprattutto per la completa mancanza di un sistema di salvataggio o password ... un vero peccato, ma i giochi una volta erano così e Pyramids of Egypt ne esalta sia gli aspetti positivi che quelli negativi :o)

Dal punta di vista squisitamente tecnico il gioco ha poco veramente poco da offrire ed è bel lontano dagli standard che Romero avrebbe raggiunto di li ad un paio d'anni (comunque bellissimo lo sprite del protagonista che muore tra fiotti di sangue e grugniti). La grafica è rigorosamente a quattro colori: psichedelica in CGA, un po' meglio con la EGA in cui le tonalità sono scelte più armoniose. Il giovane programmatore già allora fece sfoggio delle sue notevoli capacità realizzando il gioco nella sola modalità CGA per poi sfruttare un tweek della EGA che, in modalità compatibile verso il basso, permette di rimappare i quattro colori utilizzando le sedici tonalità disponibili.
Il sonoro si limita a pochi pochi beep e di conseguenza è da considerarsi non pervenuto :o)

 
Le morti cruente e l'impietosa schermata di game over vi terranno spesso compagnia giocando a Pyramids of Egypt

Per concludere posso dire che Pyramids of Egypt è un buon gioco che nonostante i suoi anni ancora oggi si può meritare una partita. La sua pecca più grande è probabilmente la difficoltà che vi farà imprecare più e più volte verso quei maledetti serpenti che schizzano per lo schermo a tutta velocità. Lo schema di gioco è un po' stantio ma in fondo siamo retrogamer!!

A voi il video da cui è evince l'estrema difficoltà del titolo ... e meno male che per ogni livello superato si guadagna una vita extra :o)


mercoledì 9 novembre 2011

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I giochi sportivi multi-evento hanno saputo ritagliarsi nel corso degli anni una nutrita fetta di estimatori che, completamente insensibili al dolore inferto a joystick e tastiera, erano disposti a tutto per dimostrare la propria superiorità "atletica". Nonostante il mio favore ricada, senza se e senza ma, sulla versione da sala di Track & Field (Konami, 1983) è innegabile che l'esplosione del genere sia stato determinato dalla diffusione dei sistemi casalinghi ed agli innumerevoli giochi collegati a grandi manifestazioni sportive o ad atleti di fama mondiale. Sul finire degli anni '80, quando il Commodore 64 era il sogno di ogni bambino pacioccoso dalle dita grassoccie, a dettare legge nei giochi multi-evento era la mitica Epyx. Ogni retrogamer che si rispetti non può non provare un brivido nella schiena sentendo nominare giochi come Winter Games, Summer Games, California Games e World Games. E' proprio di quest'ultimo titolo che ho intenzione di parlavi, sia perché è uno dei miei preferiti sia perché è quello a proporre alcune delle discipline "sportive" più interessanti del panorama mondiale (capirete il virgolettato più avanti).
World Games viene rilasciato per l'otto-bit Commodore nel 1986, per essere poi convertito via via per una moltitudine di formati che non sto ad elencarvi ... tanto sono sempre i soliti. Premettendo fin da subito che la piattaforma migliore per gustarsi il titolo è quella per cui il gioco fu concepito, da preferire anche alle versioni per i sistemi superiori, io resto coerente ai miei principi e quindi mi butto a capofitto sull'edizione PC/MS-DOS.
Iniziamo subito dalle note dolenti così ci togliamo il pensiero. Nel 1986 la grafica su PC era CGA e l'audio era prodotto dallo speaker interno ... quindi psico-grafica a quattro colori e sonoro gracchiante sono il massimo che il titolo può dare dal punto di vista audio-visivo ... mettiamoci quindi una pietra sopra e passiamo ad analizzare la sostanza che, come dico sempre, è l'anima di un buon videogame.

Come da tradizione Epyx, dopo la schermata dei titoli, un essenziale menu permette di accedere alle  diverse competizioni (in tutti gli eventi, in alcuni eventi o in un solo evento) o di impratichirsi in una delle discipline. Se si sceglie di lanciarsi in una tenzone, per ogni giocatore (è possibile organizzare sfide con otto contendenti) è richiesto di selezionare nome e nazionalità (scelta seguita dall'esecuzione dell'inno che, almeno su PC è decisamente straziante ... e pensare che allora quasi mi esaltavo nel sentire le note partorite dalla mente di Goffredo Mameli dallo speaker del mio M24). Qualora si opti invece di allenarsi, sarà sufficiente selezionare la disciplina preferita e quindi provare e riprovare finché non ci si sente pronti per sfidare gli amici o per battere uno dei record mondali.

Le otto discipline in cui potremo cimentarci sono prelevate dalla tradizione sportiva di altrettanti paesi. Alcune di esse sono specialità ormai entrate nella consuetudine e oggetto di manifestazioni di portata planetaria, mentre altre sono relegate alle usanze delle rispettive nazioni (ancora oggi in cui in televisione trasmettono praticamente di tutto alcune di queste sono ai più ignote). Andiamo a conoscerle una ad una ...

Weight Lifting (Unione Sovietica) Le discipline "di forza" sono state per lunghi anni un forziere di medaglie per i paesi d'oltre cortina probabilmente per via dell'abbondanza di sostanze dopanti e dei pochi controlli (quanto uscì World Games il muro di Berlino e la guerra fredda erano quanto mai attuali). La vecchia URSS è stata quindi scelta per rappresentare la nobile ed antica arte del sollevamento pesi. Il perfetto tempismo nell'eseguire i movimenti delle due tecniche si sollevamento (strappo e slancio) è la chiave per portare il bilanciare al di sopra del capo ed impressionare la giuria.

Barrel Jumping (Germania) Praticata da oltre 300 anni in Germania, la disciplina del salto dei barili richiede velocità, forza e coraggio. Gli atleti più bravi sono in grado di raggiungere i 50 Km/h prima di spiccare il balzo che dovrebbe portarli al di la della lunga fila di barili. Il condizionale è d'obbligo poiché è sufficiente una distrazione, una lieve imperfezione del ghiaccio per incocciare su uno dei barili e franare rovinosamente a terra rischiando di farsi un bel male. Smanettare a destra e sinistra per correre, il tasto azione per saltare e qualche altra combinazione di tasti per completare il balzo sono gli ingredienti per raggiungere incolumi la fine della barricata.

Cliff Diving (Messico) Acapulco, spiagge assolate, belle ragazze e dirupi a strapiombo sul mare. Niente di meglio per cimentarsi nella perigliosa specialità dei tuffi da grandi altezze. Per buttarsi basta un po' di coraggio ma per evitare di toccare la parete e di schiantarsi sul basso fondale è necessaria tecnica e precisione. Se vi tremano le gambe è possibile lanciarsi da diverse altezze ma, per conquistare la giuria, è necessario saltare dalla cima, far la barba alle rocce ed inabissarsi quando l'acqua ondeggiante è alla sua massima altezza ... a prima vista può sembrare semplice ma vi assicuro che non è così.

Slalom Skiing (Francia) Chamonix è stata la sede, nel 1924, dei primi giochi olimpici invernali e per questo è stata scelta per ospitare la versione digitale della discesa tra i pali stretti dei World Games. Zig-zagare tra le bandierine pennellando traiettorie perfette è essenziale per giungere al traguardo nel minor tempo possibile. Lanciarsi a capofitto giù per la discesa è totalmente inutile senza prima aver studiato attentamente il percorso ... concedetevi lunghe sessioni di pratica per riuscire a dare il meglio e perché no,  rivivere le emozioni dell'Albertone nazionale :o)

Log Rolling (Canada) Nei primi dell'ottocento i tagliaboschi delle sterminate foreste canadesi inventarono un particolare gioco per dimostrare la loro prestanza e la loro abilità. Prendete due nerboruti omaccioni e sistemateli in piedi alle estremità di un lungo tronco galleggiante. Attendete il segnale di partenza ed ammirateli mentre camminando in avanti o indietro sul grande stelo rotolante cercano di sbilanciare l'avversario per donargli un bagno corroborante nelle gelide acque canadesi. Per vincere sono necessari equilibrio ed agilità e mi raccomando, non perdere mai di vista i piedi del vostro antagonista.

Bull Riding (USA) Il rodeo è una delle più grandi attrazioni del vecchio West e la cavalcata del toro imbizzarrito una delle competizioni più spettacolari e pericolose. L'impavido cowboy seduto in groppa al dorso muscoloso del bovino inferocito, può contare solo su di una corda a cui reggersi ed alla sua abilità di assecondare i movimenti convulsi della sua cavalcatura.
Una delle gare più difficili in assoluto del gioco e una vera fabbrica di imprecazioni :o)


Caber Toss (Scozia) Tipi tosti gli scozzesi. Mentre i più si dilettano nel lancio del giavellotto loro si sgranchiscono lanciando tronchi simili a quelli usati per i vecchi pali del telefono. La parte più difficile del gioco è quella di riuscire a mantenere la grossa pertica in equilibrio mentre si cerca di raggiungere il sufficiente slancio necessario al lancio. Passi se il tronco cade in avanti ma se questo cade all'indietro meglio scansarsi onde evitare di essere letteralmente interrati dal peso dell'ingombrante asta.


Sumo Wrestling (Giappone) Due ciccioni giapponesi, seminudi con indosso solo un costumino simile ad vecchio ciripan (pannolino lavabile che molti di voi avranno indossato), si spingono, si strattonano e si sollevano con l'unico scopo di atterrare o scagliare l'avversario al di fuori del ring in cui si sfidano a singolar tenzone. Come in ogni forma espressiva della cultura giapponese il Sumo è l'unione di tradizione, rispetto e storia.



Bene ... non mi resta molto altro da dire su World Games se non confermarvi che è un buon gioco che anche in questa veste graficamente scarna (tralascio un qualsiasi giudizio sull'accompagnamento sonoro) sa divertire soprattutto se giocato con qualche amico. Un gioco solo apparentemente semplice che necessita di molta pratica per dare risultati soddisfacenti ed appaganti. Da tecnico mi permetto, prima di concludere, di far notare la buona volontà dei programmatori Epyx nello sfruttare entrambe le palette messe a disposizione della CGA ... non è molto ma è comunque un segno di "rispetto" :o)


Vi lascio con il video in cui si vedono tutti i miei limiti dovuti soprattutto al molto tempo trascorso lontano da questo ottimo titolo ... a presto ...


sabato 5 novembre 2011

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Non mi ricordo esattamente l'anno. Probabilmente erano i primi anni '80 quando uno dei due flipper, dell'unico bar del mio paesiello, venne sostituito dal cassone di Space Invaders. Io avevo circa 10 anni e, in quella sala maleodorante dove i nostri genitori la sera fumavano giocando a carte, attendevo che i "grandi" finissero di giocare per infilare una monetina nell'apposita fessura e concedermi un po' di sano blastaggio alieno.
Space Invaders invade il Giappone (scusate il gioco di parole ma ci stava benissimo)  nel 1978 grazie alla Taito Corporation ed al geniale Toshihiro Nishikado che, oltre a programmare il gioco si occupò anche di progettare l'hardware necessario a realizzare il titolo che lo consacrò tra i grandi dei videogame. Nel biennio successivo, grazie a diversi distributori internazionali (Midway, Sidam, Atari, ecc), il gioco raggiunge prima l'America, poi l'Europa e quindi l'italica penisola ed il mio villaggio sperduto tra le verdi colline canavesane ... in tutto il mondo fu un successo e per quanto mi riguarda fu il primo coin-op che ebbi occasione di giocare.
Il gioco propone l'interpretazione personale di Toshihiro della guerra dei mondi: gli alieni, ordinatamente disposti su cinque file, scendono, eseguendo un ampio zig-zag, lentamente ma inesorabilmente verso il fondo dello schermo che, una volta raggiunto, decreta l'avvenuta invasione. A difendere la superficie dell'amato pianeta noi, a bordo di un cannone in grado di muoversi orizzontalmente e di sparare colpi di artiglieria pesante sugli alieni. L'ondata aliena che avanza via via più velocemente verso la superficie, non mancando di riversaci addosso la sua potenza di fuoco, deve essere eliminata in toto per accedere al livello successivo. Un gameplay semplice ma assolutamente ipnotico anche grazie al sonoro minimalista che con dei semplici impulsi segue il ritmo crescente dalla partita ... unico ... e chi l'ha provato sa cosa intendo. Tre le vite a disposizione del giocatore ed un numero infinito di livelli (la partita record mondiale è durata ben 38 ore!!!) sono gli ultimi tasselli che caratterizzano questo storico coin-op.

 
La schermata dei titoli (con tanto di tabella dei punteggi!) ed un momento di gioco

Guardando queste immagini, di fronte ad una grafica così minimale ma così ricca di emozioni.per tutti noi "vecchietti" dei videogame, mi viene quasi da commuoversi . Per motivi prestazionali, la grafica è completamente monocromatica e l'effetto colore è dato da strisce di plastica colorata appiccicate allo schermo (verde in basso e rossa in alto dove di tanto in tanto passa l'astronave del mistero che regala, se colpita, un bel pacchetto di punti).

Un tale successo planetario non poteva non essere oggetto di conversioni per i vari sistemi casalinghi che man mano andavano diffondendosi: si parte dall'Atari 2600 e dal Commodore PET, per passare poi all'Atari 5200, al Commodore 64 e all'MSX (non mancano ovviamente versioni più o meno autorizzate su altri sistemi, come ad esempio Space Intruders per ZX Spectrum). Con il passare degli anni, e con il crescere della potenza di home-computer e console, arrivano anche i primi remake che, oltre ad aggiornare la grafica ai nuovi standard, cercano di rendere il gameplay più vario senza però tradire le peculiarità del titolo originale.

Super Space Invaders arriva nel 1991 grazie all'operosità dei programmatori della Taito ed alla Domark che si occupa di distribuirlo nel mondo occidentale. Il titolo viene sviluppato per i principali home-computer ad 8-bit, per Amiga ed Atari ST, per Sega Master System e Game Gear, e ovviamente per l'amato PC/MS-DOS.

Il gioco, almeno nelle sue incarnazioni a 16-bit, inizia con un breve cartone animato di ottima fattura che ci fa capire fin dall'inizio cosa ci aspetta: la tranquillità dell'avamposto terrestre è rotta dal segnale di allarme seguito, dopo alcuni istanti, dall'apparire di una orda di alieni sullo schermo. Il pilota si fionda letteralmente a bordo del suo mezzo d'attacco per andare a constatare di persona la situazione. Giunto in contatto con gli alieni (che sono, come da tradizione giapponese, carini anche se malvagi) non gli resta altro da fare che constatare la dura realtà: la guerra è iniziata!!

 
Due fotogrammi tratti dal fantastico cartone animato introduttivo

Se il filmato è fantastico, altrettanto eccezionale è la spiegazione che gli sceneggiatori dagli occhi a mandorla danno di questa nuova invasione spaziale: è l'anno 2061 e gli ormai vetusti cabinati dell'originale Space Invaders sono stati abbandonati nell'orbita terrestre diventata una sorta di discarica fluttuante. Uno di questi cassoni sfugge però all'attrazione gravitazionale della terra iniziando così a vagare per lo spazio profondo. Dopo decenni di peregrinazione spaziale, il coin-op viene recuperato da una razza aliena che, vista la sorte toccata a dei loro simili, decide di andare sulla terra per dare una lezione all'arrogante razza umana ... e te pareva :o)
Bene ... dopo questa ricca introduzione, siamo pronti ad affrontare il gioco in una delle due modalità proposte: Normal o Advanced. Se la prima fa si che i vari livelli debbano essere affrontati in sequenza, la seconda permette di selezionare quale stage affrontare (a patto che questo sia stato completato con successo nella modalità classica).
Se il primo livello propone esattamente la stessa meccanica dell'originale Space Invaders, già dal secondo appaiono evidenti le novità inserite per svecchiare il gameplay altrimenti troppo ripetitivo. Si parte con gli alieni che scendono verso il basso quanto la posizione sottostante nella formazione è stata "liberata", nemici che dopo il primo colpo "si gonfiano" necessitando quindi di una successivo sparo, formazioni e pattern di attacco differenti rispetto al tradizionale zig-zag, nemici più grossi e più incazzati e così via.
A spezzare il ritmo incessante dell'avanzata aliena, ogni tre quadri saremo chiamati ad affrontare un simpatico livello bonus che già dal titolo promette faville: "Mutilazione del bestiame".  Lo stage, si ispira alla leggenda metropolitana statunitense che vuole scorribande aliene come causa del ritrovamento di capi di bestiame orribilmente mutilati (credo ci sia anche una puntata di X-Files ispirata a tali eventi). Eccoci quindi pronti a difendere una mandria di mucche dal rapimento degli alieni che fluttuano nel cielo a bordo dei loro ufo ... ovviamente essendo un livello bonus non si può morire ma salvare gli armenti dona soddisfazione e punti extra!!

 
Il primo livello ci fa pensare ad un semplice aggiornamento grafico ... ma non è così - Salvare le mucche dal rapimento è indispensabile per accumulare punti

Ad incrementare il punteggio contribuisce anche l'astronave del mistero che di tanto in tanto attraversa la parte alta del terreno di gioco ... nel caso di questo remake però, l'enigmatica astronave, elargisce interessanti power-up molte volte indispensabili per completare il livello. Tra questi abbiamo il raggio laser, che distrugge in sol colpo un'intera fila di alieni, il colpo doppio, che consente di spare due bordate consecutive, la farfalla (?!?!?), che blocca per un po' i nemici sullo schermo, le barriere che, come nel gioco classico, ci proteggono per un po' dall'avanzata dei nemici e gli scudi che ci permettono di subire qualche colpo in più prima di perdere una delle preziose vite. Tutti i potenziamenti sono momentanei ... ma sempre bene accetti :o)
Chiudono l'elenco delle novità i tre boss che dovremo affrontare ogni 12 quadri ... e qui i power-up sono essenziali visto che con il cannoncino di base riusciremo a malapena a scalfire la sua dura corazza.

 
Ecco cosa intendo per alieni grossi ed incazzati - Uno dei potenziamenti attiva le quattro barriere presenti nel gioco originale

Chiudo questo articolo, che sta diventando un po' lunghetto, con la mio solito pistolotto pseudo-tecnico. Allora .. la grafica è più che dignitosa, nulla di eccezionale intendiamoci, ma è in grado, e le immagini parlano da se, di ridare smalto agli sprite monocromatici di fine anni '70. Molto belli gli sfondi che, seppur totalmente inutili al fine del gioco, sanno dare maggior profondità al campo di battaglia. Il commento sonoro pressoché assente, se non nella sequenza introduttiva, sa far rivivere le emozioni degli impulsi martellanti del titolo originale ... e diciamocelo è un bene perché quel continuo pulsare induce quell'ansia che dovrete riuscire a controllare per avere la meglio sulle orde aliene ... come raramente accade il sonoro fa parte integrante del gioco.
Per quanto riguarda la longevità abbiamo dodici ambientazioni ognuna composta da quattro livelli per un totale di 48 stage differenti ... a prima vista non sono moltissimi ma sono quelli che servono a divertire senza far venire a noia un titolo non estremamente vario!!!

Bene, prima di lasciarvi all'immancabile filmato, invito videogiocatori vecchi e nuovi a provare questo titolo uscito all'inizio degli anni '90 per far breccia nel cuore di tutti coloro che già allora amavano il retrogaming ... eccezionale!!!!